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Cassa (dis)integrazione

17 dicembre 2009

Che cazzo“. Lo so, non è certo il modo migliore per iniziare un diario, ma quando ci vuole, ci vuole. Un ‘imprecazione aiuta a sfogare i nervi alle volte, non solo a portarti in purgatorio. Che poi rispetto all’inferno odierno, sarebbe già un passo avanti. Per cui, ben venga l’imprecazione.

Siamo in periodo di crisi, e questo non fa che aggravare le cose, in particolar modo tra queste quattro mura scalcinate. Insomma, in questi momenti tutta la solidarietà lavorativa dovrebbe fuoriuscire a valanga, io aiuto te, tu aiuti me, e così il clima migliora, si lavora meglio e forse, anche più veloci. Giusto? No, sbagliato. Più c’è crisi e più ti inculo. Più c’è crisi e più ti fotto, specialmente se mi sento il padrone della fabbrica senza averne il diritto e, soprattutto, le capacità. Di gente inetta a comandare ce ne già abbastanza in politica ma come si dice, non c’è limite al peggio.

Prendete per esempio la telefonata di oggi da parte di Jack (il personaggio menzionato sopra, il superuomo, nonché il reggente dell’ufficio amministrativo), al mio ritorno dalla pausa pranzo. Ah parentesi, da noi, non si sa perché, non si usa fare 50 metri da un ufficio all’altro per parlare e comunicare, nossignori, Noi usiamo il telefono, Noi usiamo le e-mail, soprattutto quest’ ultime, così non puoi dire di non averla vista e letta, e ti posso inculare con più sicurezza. Ma torniamo alla telefonata.

Ciao“, e già qua il tono del saluto prospetta la stronzata del giorno.

Come sai, stamattina c’è stata la riunione con i sindacati. Al termine l’amministratore delegato mi ha comunicato che con il prossimo anno si rientrerà in cassa integrazione, solo che questa volta (la quarta n.d.r.) riguarderà anche gli uffici“.

A questo punto apro un’altra parentesi. Negli uffici lavoriamo in quattro. Io gestisco il commerciale, poi c’è la segretaria ed infine, altri due impiegati gestiscono l’amministrazione. Detto questo pare ovvio che in caso di cassa, ruotando a turno possiamo farne una settimana al mese a testa, senza pregiudicare l'”immane” lavoro da svolgere. Ma torniamo alla telefonata.

Si immaginavo“.

Comunque non capisco. Anche perché a spingere verso questa soluzione sono stati gli operai. Però non capiscono una cosa. Se io sono un operaio e lavoro sul mio macchinario, e questo è fermo, o faccio ferie o, se non ne ho, finisco in cassa, e questo è normale. Ma gli uffici sono sempre aperti, qua si lavora sempre, non si può fare cassa“. Ma ora arriviamo al dunque della telefonata.

Io volevo darti un consiglio, poi vedi tu cosa fare, lo decidi tu” il tono con cui si è espresso in questo momento, penso lo possiate tranquillamente capire. “Siccome ho visto che, sotto Natale hai preso quattro giorni di ferie, io ti consiglierei di tenertele, vieni a lavorare e così, il prossimo anno, visto che prima di andare in cassa bisogna consumare le ferie, più ne hai e meno cassa integrazione ti tocca fare, così, oltretutto, mantieni la paga piena“.

A questo punto l’istinto al mio interno, mi imporrebbe di abbassare la cornetta senza proferire parola, staccare il telefono, compiere 50 metri, entrare nel suo ufficio, e spaccarglielo in testa. Oppure fargli notare come l’odio degli operai verso di loro, sotto sotto, ha qualche fondamento. Ma logicamente non si può, non siamo in democrazia, e di lavori oggigiorno non ce ne sono, bisogna tenersi quello che si ha ben stretto. La mia unica risposta è stata: “Si capisco, ma ho già organizzato un viaggio a Trento per incontrare vecchi amici che mi ospitano, ciao“.

Ed è per questo che, da oggi, nelle mie mail, campeggia la seguente citazione:

Se pochi dei tuoi sudditi ti considerano, interroga te stesso.